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TitreLa Pittura in giudicio overo il bene delle oneste pitture e’l male delle oscene
AuteursRosignoli, Carlo Gregorio
Date de rédaction
Date de publication originale1697
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, « Le colpevoli discolpe de’ pittori immodesti » (numéro cap. III, §1) , p. 40

[[4:suit Apelle Vénus]] Con che stoltezza s’imita più tosto il male, che il bene de’ pittori, lasciando tante lor opere sacre, e prendendo le profane, se taluna ne fecero ? Scarafaggi infelici, che godono solo dell’immondezze del loto, in vece di succiare il mele de’ fiori. Forse che Apelle non conseguì maggior lode in effigiar Alessandro armato di fulmine con tanta eccellenza d’arte, che si dicea [[3:Plu. or. 2. de Alex.]]Duos esse Alexandros, alterum Philippi invincibilem, alterum Apellem inimitabilem ? [[4:suite : Zeuxis et Parrhasios]]

Dans :Apelle, Alexandre au foudre(Lien)

, « Sagge industrie de’ pittori virtuosi » (numéro cap. IV, §1) , p. 65-66

Anche le imagini profane da saggi ed onesti artefici si figurano in guisa, che non mettono specie e affetto del vitio, ma più tosto ne cagionano nausea e abborrimento. Una stessa figura rappresentata in un modo riesce decorosa, e in un altro, indecente. Perche non si fa scelta di ciò, che de’ gratiosamente apparire, da quello, che si convien lecitamente celare. Da Apelle fu dipinto il Re Antigono, cieco d’un occhio, con tal artificio, e in profilo ; si che dava a vedere di lui quella sola metà del volto, ch’era bella a vedersi : perche havea l’occhio sano. L’altra dell’occhio cieco, egli, per così dire, l’accecò ; nascondendola dietro al quadro, cioè facendo che non vi fosse, affinche ciò, che mancava al corpo, paresse mancare alla pittura. [[3:Plin. l. 35. c. 10.]]Pinxit Antigoni regis imaginem altero lumine orbam, primus excogitata ratione vitia condendi. Obliquam namque fecit, ut quod corpori deerat, picturae potius deesse videretur. La qual industria d’un pittor gentile in nascondere i difetti naturali, fu saggiamente imitata da un altro cristiano in celare gli scandali morali : mentre dovendo dipignere un drappello o groppo d’angioli con vaga e vistosa carnagione, gli effigiò con tal ingegno, che gli uni col distendimento delle ali coprivan le nudità degli altri. Ecco dunque che le medesime imagini si possono da industrioso pennello foggiare in una forma, che mostrino vaghezza impura, e in un’altra, che rappresentino modesto decoro. La stessa Lucrezia dipinta da uno in sembianza vezzosa, e in atto lusinghevole, mettea sentimenti amorosi, e affetti sensuali. Ma effigiata da un altro con faccia di confusione e di sdegno, e col pugnale in mano per ferirsi, movea le matrone romane all’amore e alla custodia dell’onestà.

Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)

, Introduttione , non pag.

Confesso però che nell’intraprendere questo trattato, mi son sentito istupidire e ritrarre la mano ; considerando che, come inesperto di pitture, non poteva degnamente trattare questo argomento co’ termini proprii, e con ragioni adatte. Temeva che non mi s’intimasse il silentio : come già fe’ Apelle ad Alessandro, allorche portatosi all’officina di lui, si mise a discorrere imperitamente de’ colori, e delle linee. Onde il pittore diè avviso al Re, che di gratia tacesse, per non farsi ridere addietro da’ garzoni pestacolori[[3:Plin. l. 35. c. 10.]] : In officina imperite multa disserenti silentiu mcomiter suadebat ; rideri eum dicens a pueris, qui colores tererent

Dans :Apelle et Alexandre(Lien)

, « La colpa de’ pittore osceni » (numéro cap. I) , p. 8-9

Quellle nudità lusinghevoli, quegli sconci atteggiamenti, quell’espressione di sregolate passioni, quanti sozi pensieri eccitano nella mente dell’artefice, quanti laidi affetti nel cuore, a quante dissolute attioni lo spingono dalle copie artificiate a’ vivi originali ? Ben l’avvertì il Savio, parlando di tal artiere : [[3:Eccli. 38. 28.]]Cor suum dabit in similitudinem picturæ : il fabbro impronterà il suo cuore colla sembianza della pittura, c’ha per le mani : la quale s’è immonda, non può non infettarlo. E ben lo provò Apelle, che nel ritrarre, per ordine d’Alessandro, la famosa Campaspe, ne rimase per sì fatta maniera amorosamente ferito, che quanti tratti segnava nel quadro, tanti strali si figgeva nel cuore. [[3:Lib. 35. c. 10.]]Così attesta Plinio, il quale però con ragione lasciò scritto, che si dipingono sino gli pericoli stessi, anzi le stesse fiamme, da cui si resta miseramente arso : Pericula expingimus, et rogos.[[3:Ibid. c. 7.]]

Dans :Apelle et Campaspe(Lien)

, « La religiosa pietà di riformar le imagini oscene in oneste » (numéro cap. X, §1) , p. 179-180

Ciò che ritrae dall’emendar saviamente tali pitture, e farne sante metamorfosi, sì è il pericolo di difformarne la bellezza, storpiarne il garbo, e avvilirne il pregio. Poiche rare volte avviene, che ben riesca il ritoccare le imagini già perfette, il tirare linee sopra linee, colorir di nuovo i colori già vecchi, e campiar le facce d’una in un’altra sembianza. Che però i saggi pittori si guardano bene di non metter mano a’ lavori d’altri eccellenti artefici. Niuno degli antichi volle mai mettere il suo pennello sopra l’Iride d’Aristide, nè sopra l’Elena di Nicomaco, ancorche fossero in qualche parte imperfette. Ma questa scusa non sempre vale. Peroche non di rado avviene, che le pitture col ritoccarle si migliorino ; potendosi pur anche inserir colori sopra colori, e condurre linee sopra linee co, gran perfettione. È nota la gara di Protogene, e d’Apelle : quando questi sconosciuto ito alla casa di quello, e non trovatolo, dipinse sopra la parete una sottile linea, e disse alla fante : Ritornato che sarà il vostro padrone, ditegli, ch’è stato cerco da colui, c’ha tirata questa linea.[[3:Plin. l. 35. c. 10.]]Protogene al vederne la sottigliezza s’accorse subito, ch’era opera d’Apelle. Poscia, preso il pennello, con diverso colore formò un altra linea in mezzo di quella, e soggiunse alla serva : se ritornasse quel forestiere, gli direte, che il ricercato da lui ha tirata quest’altra linea. Di fatto rivenne Apelle ; ove intesa la replica, e ammirata la più sottil riga, di nuovo con altro minio colorì sopra la seconda una terza linea con tanta sottilità, che tolse all’emolo la speranza di vincerlo. Ecco dunque che non sempre sono inferiori le nuove linee tirate sopra le antiche, e che talvolta riescono più ammirabili, e possono accrescere maggior pregio all’opera. Come lo accrebbe con più onesto decoro Giovanni dei Vecchi alla famosissima pittura del Giudicio, lavoro del Bonarotti, nella quale, per commessione di Pio V. egli riformò in forma decentissima alcune sconvenevoli nudità, che si vedeano in quel prodigio dell’arte.[[3:Otton. c. 4. Q. 7.]]Così anche Rafaello Borghini dimostrò essersi perfettionato in Firenze il famoso ritratto d’un infame cantatrice, che teneva in mano gli stromenti de’ suoi amori, con trasformarla in una Santa Lucia, che mostrava le insegne del suo glorioso martirio.

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

, « Imagini sacre oritette e favorite dagli angioli », §2, « Esempio » (numéro cap. VI) , p. 112-113

Benche gli angioli habbiano dato a divedere il lor affetto in ogni sorte di sacre pitture : nondimeno in quelle della Reina del Cielo si sono più segnalati. Di molti esempi ne sceglierò un solo, pieno d’altri saggi documenti. Giacomo Serpentino vivea nella Corte di Lodovico Re di Polonia, ove si diè a dipignere con tant’eccessivo studio, e diligenza troppo nociva, [[3:Plin. l. 35. c. 10.]]Ut manum ille de tabula nesciret tollere : memorabili præcepto, nocere sæpe nimiam diligentiam : come di Protogene disse Apelle. Imperoche il soverchio lavoro egli cagionò un male sì pernicioso agli occhi, che rimase poco men che cieco. Usò tutti i rimedi umani : ma riuscendogli senza prò, hebbe ricorso a’ divini. Portossi alla miracolosa imagine di Nostra Signora in Cesticovia : ove genuflesso con umilissimi prieghi supplicò la benignità di lei a restituirgli la vista ; affinche potesse in avvenire impiegar il suo pennello in divote pitture. La Vergine, che si chiama Aurora consurgens, pulchra ut Luna, electa ut Sol, fu prontissima a rendergli la luce degli occhi. Della qual gratia egli lietissimo, fe’ incontanente voto d’usar la prima sua industria in ricopiar al naturale la medesima effigie della sua Sanatrice.

Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)

, « Le colpevoli discolpe de’ pittori immodesti » (numéro cap. III, §1) , p. 39-40

Ingegnose a loro male sono le scuse che adducono i pittori, e appunto come i veli trasparenti, con cui talora cuoprono, e non cuoprono le lor ignude statue. Ecco la prima diffesa : che le imagini scoperte nel vivo, e al naturale del corpo, scuoprono meglio la maestria dell’arte : che sono tenute in maggior pregio, e celebrate con più alte lodi. Che ammiratione non eccitò la Venere d’Apelle, e l’Elena di Zeusi ? Quanti encomi hebbe appresso i moderni la Danae, e l’Adone del Titiano ? Che applausi non acquistò la Leda col Cigno del Bonarotti ? A tale scusa altra risposta non vi vuole, se non quella di Plutarco : Fatui est imitari auctorum vitia, non virtutes. Con che stoltezza s’imita più tosto il male, che il bene de’ pittori, lasciando tante lor opere sacre, e prendendo le profane, se taluna ne fecero ? Scarafaggi infelici, che godono solo dell’immondezze del loto, in vece di succiare il mele de’ fiori. [[4:suite : Apelle Alexandre]]

Dans :Apelle, Vénus anadyomène (Lien)

, « Il bene di chi glorifica le sacre imagini » (numéro cap. XII, §2) , p. 230

Uscirei de’ limiti della brevità, se volessi sol tanto annoverare le gratie miracolose concedute per la veneratione delle sacre pitture. Alla città di Rodi servì di difesa e salute il ritratto di Gialiso, opera maravigliosa di Protogene. Imperoche essendo da ogni parte inespugnabile, fuori che da un lato, a quello il re Demetrio applicò tutto lo sforzo del suo esercito con machine incendiarie per superarla. Ma trovando ivi effigiata la famosa figura di Gialiso, per non guastarla, fe’ desistere dalle rovine già disposte, mosso dal pregio e dalla veneratione di quella pittura : e per cagione d’essa rimase privo d’una insigne vittoria : come attesta Plinio : [[3:Plin. l. 35. C. 10.]]Pacentem picturæ fugit occasio victoriæ. Or se a’Rodiani tanto giovò il possedere quella profana effigie, quanto maggior giovamento dee aspettarsi da’ veneratori delle sacre ? Chi brama certificarsi di tali beneficii, leggali nel teatro della vita umana al titolo imago : ove vedransi città liberate dagli assegi, pestilenze curate senza rimedi, carceri aperte con prodigii, schiavi sciolti dalle catene, e naufragii fuggiti con evidenti miracoli.

Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)

, « La religiosa pietà di riformar le imagini oscene in oneste » (numéro cap. X, §1) , p. 179-180

Ciò che ritrae dall’emendar saviamente tali pitture, e farne sante metamorfosi, sì è il pericolo di difformarne la bellezza, storpiarne il garbo, e avvilirne il pregio. Poiche rare volte avviene, che ben riesca il ritoccare le imagini già perfette, il tirare linee sopra linee, colorir di nuovo i colori già vecchi, e campiar le facce d’una in un’altra sembianza. Che però i saggi pittori si guardano bene di non metter mano a’ lavori d’altri eccellenti artefici. Niuno degli antichi volle mai mettere il suo pennello sopra l’Iride d’Aristide, nè sopra l’Elena di Nicomaco, ancorche fossero in qualche parte imperfette.

Dans :Tableaux inachevés(Lien)

, « Saggia ammenda delle figure ignude col vestirle » (numéro cap. X, §2) , p. 187-188

[[4:suit Zeuxis et Parrhasios]] Direte forse, che in quel velo non tanto fu lodata la leggiadria dell’opera, quanto l’invention dell’ingegno. Sia così : e così facciasi. Truovisi qualche ingegnoso colorito per coprire, e panneggiare l’impuro Amore : come Timanthe trovò artificio di velare un immenso dolore nel celebre quadro d’Ifigenia, in cui erano tante belle figure addolorate per lo crudel sacrificio di lei : e pure portò il vantaggio sopra tutte quel pannolino, col quale Agamennone, padre della vergine, si copriva il volto, in atto di rasciugar gli occhi. Con che volle significare il pittore, che il suo pennello non valeva ad esprimere il cordoglio del padre ; havendo consumata tutta l’industria in effigiar l’affanno degli altri circostanti : [[3:Idem l. 35. c. 10.]]Cum tristitiæ omnem imaginem consumpsisset, patris ipsius vultum velavit, quem digne non poterat ostendere. Tanto può l’Arte, che l’arguto velo scopriva il dolore, che pur copriva. E per dire alcuna cosa di più moderno. Tra le molte figure, che rappresentano le gloriose imprese della Vergine e Martire Santa Caterina, fu sempre ammirata la pretiosa veste, con la quale comparve nel Tempio a riprender l’Imperador Massimino della sua impietà. Il qual manto fu colorito con sì bella varietà di fiori, che vi si vede il biancolattato de’gigli, l’incarnato acceso delle rose, e’l cangiante maraviglioso degli anemoni. Opera d’eccellentissimo pennello, [[3:L. 25. c. 11.]]quam imitati sunt multi, æquavit nemo : come disse Plinio d’un altra pittura.

Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)

, Conclusione, p. 299

Ho imitato (se mi è lecito così dire) l’industria di Timante, il quale, dovendo effigiare dentro angusta tavoletta Polifemo smisurato gigante, non sapea com’esprimere in picciol sito la vasta statura di sì gran corpo. Perciò dipinselo in iscorcio, disteso in fianco a riposo, con due satiri a lato, che con un tirso gli misuravano la grandezza del pollice : affinche i riguardanti dalla proportion di quel dito arguissero, quanta ne fosse la mano, quanto il braccio, e quanta tutta la corporatura. Onde di Timante lasciò scritto Plinio : [[3:L. 35. c. 10.]]In operibus eius intelligitur plus semper, quam pingitur : Così in queste poche carte, con semplici bozze ho ristretto alcuna cosa di quel molto, che in sì ampia materia delle pitture buone e ree, si potrebb’esporre ; lasciando che altri da questo tenue saggio ne conghietturi i gran beni, e i gran mali.

Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)

, « Le colpevoli discolpe de’ pittori immodesti » (numéro cap. III, §1) , p. 40

Forse che Zeusi non si rendè più celebre con colorire i grappoli d’uva pendenti da’ pampani, così rilevati e rugiadosi, che la Natura a farli veri, non li sa far più veri ? Onde gli uccelli ingannati volarono a beccarli ; sin che venuti famelici, ne partirono digiuni. Anzi egli stesso hebbe a confessare, ch’era riuscito meglio in dipignere le uve, che il giuvannetto presso d’esse. Peroche gli augelli andarono a bezzicare le uve, credendole vere, e non temettero il fanciullo, perche lo ravvisarono dipinto.

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, « Saggia ammenda delle figure ignude col vestirle » (numéro cap. X, §2 ) , p. 186-187

Benche molti intendenti delle pitture pregino sopra ogni altr’ornamento i corpi ignudi, come se in formarli si ricerchi maggior maestria : contuttociò a giudicio d’altri maestri dell’arte non si richiede minor peritia e industria per colorire un bel panneggiamento con pieghe ben disposte, e rilievi ben ordinati : per increpare le falde degli abiti, spiegarne gli suolazzi, e rifiorirne i fredi. Che lodi non acquistò Parrasio per quel celebre velo, con cui gabbò e vinse Zeusi, che si gloriava d’havere ingannati gli uccelli, tirandogli a beccare le uve dipinte ? Ma poi fu egli deluso, quando corse a rimuover colla mano la tenda colorita dall’emolo, per iscoprir la pittura, che in fatti non v’era, ma solo il velo dipinto, ingannator degli occhi con le bugie del pennello. Ond’hebbe a confessare : [[3:Plin. l. 35.]]Vicisti me, Parrasi. Ego enim illusi avibus : tu vero decepisti Zeusim. Direte forse, che in quel velo non tanto fu lodata la leggiadria dell’opera, quanto l’invention dell’ingegno. Sia così : e così facciasi. [[4:suite : Timanthe]]

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, « Le colpevoli discolpe de’ pittori immodesti », §2, « Altre scuse inescusabili de’ medesimi » (numéro cap. III) , p. 45-46

Altri abbagliati dello splendor dell’oro, e pervertiti dal fascino dell’interesse, non giudicano biasimevole ciò che riesce loro di guadagno : [[3:Plin. in Præf.]]Nec quicquam videtur turpe ; quod est quæstuosum. Dicono che le pitture ignude e lusinghiere sono ricercate con maggior prezzo, e compre a peso d’oro. L’Elena di Zeusi essersi più volte venduta cento talenti. I due famosi quadri di Danae, e d’Adone essersi pagati migliaia di doppie.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, « La pena de’ medesimi pittori » (numéro cap. II) , p. 14

A Zeusi la figura d’una Vecchierella da lui pennelleggiata in forma naturale, grinza, sdentata, bavosa, incurva, tutta ridicola, cagionò sì smoderato riso, che in contemplarla rimase improvisamente privo di vita[[3:Otton. c. 3. Q. 9.]]. A quanti pittori le lor oscene imagini recheranno non già col riso, ma col pianto la morte eterna.

Dans :Zeuxis mort de rire(Lien)